La Spada di Damocle dell’Automotive sull’industria europea dei fissaggi: ne parliamo con Dell'Era Ermanno Srl
Il mercato Automotive in Europa ha subito un forte rallentamento, come confermato anche dall’ultima assemblea generale a porte aperte di UPIVEB (Unione Produttori Italiani Viteria e Bulloneria). A soffrirne il contraccolpo sono stati i anche produttori di Fastener, che vedono nell’industria automobilistica il loro principale mercato di riferimento.
A questo proposito abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Paolo Dell’Era, CEO di Viteria Dell'Era di Ermanno & Figlio Srl, storico produttore di viti standard e speciali stampate a freddo del lecchese. Si è parlato di E-Mobility, di Asia ed Europa e del futuro del settore Fastener.
Qual è il vostro rapporto con l’industria dell’automobile?
La nostra azienda lavora nel settore Automotive già da diversi anni. Non lavoriamo direttamente con le case automobilistiche, bensì con i grandi distributori di viteria e bulloneria che servono i grossi player del settore, come FCA, Ferrari, Iveco, Volkswagen, Daimler, etc. Collaboriamo anche altre aziende fornitrici del settore Automotive, quali Brembo e Wabco, per quanto riguarda i sistemi di frenaggio rispettivamente per automobili e camion. Per rafforzare ancor di più la nostra presenza nell’industria automobilistica, nel 2018 abbiamo richiesto e ottenuto la certificazione Automotive IATF 16949:2016. Ad oggi esportiamo il 50% dei nostri prodotti in Europa, soprattutto in Germania e Francia. Abbiamo una distribuzione abbastanza consolidata anche nei paesi del nord e dell’est, Danimarca, Svezia, Finlandia, Repubblica Ceca, Polonia, e qualche cliente in Spagna e Svizzera.
Fastener e Automotive: qual è la situazione?
Partiamo dal principio: il blackout finanziario del 2008 ha ovviamente colpito anche il nostro settore, e in quegli anni la nostra capacità produttiva si è drasticamente ridotta di oltre il 40%. Dal 2010 in poi abbiamo visto una lenta e costante ripresa, caratterizzata da trend anche estremamente positivi, soprattutto nell’ultimo quinquennio. La prima metà del 2018 ci ha visti registrare uno straordinario +20% rispetto allo stesso periodo del 2017: un andamento piuttosto inspiegabile, subito seguito da una grossa frenata del mercato nell’ultimo quarto del 2018. Tale rallentamento è poi proseguito in maniera altalenante fino al termine del primo semestre 2019. Le cause sono molteplici: il Dieselgate in Germania, la “guerra” dell’Europa ai motori termici tradizionali, soprattutto Diesel, e l’impreparazione delle case automobilistiche europee a soddisfare la crescente richiesta di modelli ibridi o elettrici. Tutto questo ha sicuramente contribuito ad una vera e propria situazione di stasi del mercato.
E in Asia?
In Asia la situazione è ben diversa. Cina, Giappone e Taiwan stanno puntando tutto sul veicolo elettrico. In particolare, in Cina ci sono piani di investimento estremamente ambiziosi per il quinquennio 2020 - 2025 e oltre un centinaio di aziende parastatali sono pronte a inondare il mercato con i loro veicoli elettrici innovativi. Per non parlare delle batterie, di ricerca e sviluppo produzione, etc. In Europa l’unico ad essersi mosso in tal senso è il gruppo PSA (Citroën; DS; Ambassador; Opel; Peugeot; Vauxhall; Aixam e Opel). In verità anche BMW sta partecipando alla corsa all’elettrico ma purtroppo preferisce aprire nuovi stabilimenti nel Far East piuttosto che fare investimenti diretti nelle aziende automobilistiche in Europa.
Un futuro che si preannuncia grigio per l’Europa?
Il mercato europeo è in una situazione di stallo e non sappiamo se e quando ne usciremo. Quello che è certo è che l’Europa è parecchio in ritardo rispetto al Far East, soprattutto per quanto riguarda la produzione di veicoli elettrici, ma anche per l’ibrido. A mio modo di vedere, il veicolo elettrico non può rappresentare la soluzione univoca alle problematiche di emissioni che abbiamo oggi, e sicuramente anche l’ibrido avrà un impatto importante. Ci sarà bisogno di nuove tecnologie: si è iniziato di nuovo a sentir parlare del motore a idrogeno, vediamo cosa ne scaturirà. Sicuramente i motori diesel e benzina in Europa non verranno soppiantati nel breve periodo.
E per l’Italia?
Se si vuole fare una rivoluzione industriale bisogna essere pronti; e l’Italia sicuramente non lo è. In primis a livello di infrastrutture: il paese è totalmente impreparato ad accogliere un numero elevato di auto elettriche. Prima bisogna creare un substrato, poi si può pensare di investire in un determinato settore. In altri paesi del Nord Europa, che hanno saputo investire in questa direzione negli ultimi anni, ci sarà un impatto completamente diverso. In Italia per il momento non ci sono i presupposti.
Esistono dei settori, che in termini di volumi, sono in grado di sopperire alla mancanza di domanda nell'industria Automotive?
Sinceramente non ne vedo altri. L’Oil & Gas va bene, ma ha i suoi alti e bassi, mentre il settore degli elettrodomestici lo abbiamo perso da tempo, anche se ci sono dei tiepidi ritorni. Se si ferma il settore Automotive l’industria italiana e quella tedesca si fermano. Purtroppo non dipende dalle nostre aziende, ma dalle scelte strategiche dei governi. A mio parere, oggi in Italia di scelte strategiche a livello economico ce ne sono molto poche.
A questo proposito: cosa ne pensa dei recenti accordi Italia-Cina sulla Nuova Via della Seta?
Siamo stati molto criticati in Europa per questo. Ricordo però che il presidente cinese ha incontrato Francia e Germania subito dopo l’Italia, così come aveva fatto prima con gli Stati Uniti, la Russia e altri grandi player mondiali. Bisogna stare attenti: la miopia europea ha fatto sì che facessimo crollare un’economia come quella greca per una questione di indebitamento. Questo che cosa ha comportato? Il fallimento di uno stato che si è dovuto rivolgere ai cinesi. Il porto super strategico del Pireo è stato venduto alla Cina già quasi 10 anni fa.
Detto ciò, bisogna assolutamente pensare alla Cina come a un partner futuro e non come a una potenza nemica che ci vuole invadere, anche perché lo stanno già facendo, lo hanno già fatto e lo continueranno a fare. Sono venuti da noi con questo accordo sulla Nuova Via della Seta perché mostrano interesse verso il porto di Trieste ed altri luoghi strategici. Bisogna solo stare attenti a non svendere i nostri gioielli. La Via della Seta non la vedo negativamente: le merci viaggiano in entrambe le direzioni per cui non c’è solo il timore di ricevere un’invasione di prodotti cinesi, ma anche un’opportunità per raggiungere un mercato che oggi è ancora molto lontano. Viviamo in un mondo globalizzato.
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